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"Una psicologia medica cattolica deve essere una vera sintesi delle verità contenute nei sistemi già esistenti e inaccettabili visto il loro spirito di materialismo puro e le verità della filosofia e la teologia cattolica. Questo lavoro di sintesi non può essere compiuto che da persone istruite e nella medicina o psicologia e nella filosofia, e che possiedono una esperienza pratica e personale assai grande: cioè questo lavoro deve essere fatto da medici, specialisti di psichiatria, dunque da scienziati cattolici laici. (Rudolf Allers, 1936, lettera a P. Agostino Gemelli).

lunedì 11 luglio 2011

LA LEGGENDA DI FREUD - di RUDOLF ALLERS

Rudolf Allers
Il nostro viaggio all'interno dei lavori del Dottor e Professor Allers inizia da uno dei suoi ultimi articoli, pubblicato sulla rivista Thought (n° 9, 1964, pag. 199-209) dopo pochi mesi dalla sua scomparsa.
Molti psicologi cattolici si situano tra le fila della psicoanalisi (freudiana e lacaniana in primis). Si tratta di una scelta sorprendente se si considera la diversità di visioni dell'uomo proposte dalla psicoanalisi da una parte e dall'altra dal cristianesimo - cioè da una vita vissuta alla luce della fede, ossia della contemporaneità di Cristo (per un approfondimento Echavarria, M.F., Corrientes de psicologia contemporanea, Scire, Barcellona, 2008; Seligman, Z., Il relativismo morale nella psicologia di Jacque Lacan, nel blog; Larchet, J-C., L'inconscio spirituale, San Paolo 2006; e lo stesso Allers, R., Psicologia e cattolicesimo, D'Ettoris, 2009; The succesfull error, Sheed & Ward, New York, 1940).
Sigmund Freud
Forse molti degli aspetti legati alla psicoanalisi ed al suo fondatore sono entrati così pervicacemente nel substrato culturale della nostra società da essere diventati leggenda, da modificarsi e da assumere una posizione comoda, dialogante, politically correct. Sono scomparsi dai libri di psicologia i resoconti sul dogmatismo di Freud, sulla sua ingratitudine a Janet e Charcot, sul suo ateismo, sulla fondazione di una "società segreta" dai caratteri di una setta religiosa. Così come - misteriosamente - sono scomparse dalla pratica clinica il ricorso all'invidia penis (prima degli anni '70 - dice un professore di psicoterapia di mia conoscenza - non poteva non essere il "centro" dell'analisi), alla religione come nevrosi collettiva, alla ricerca dell'edonismo.
Questo articolo di Allers non entra nel merito delle questioni "tecniche", ma mostra come molti aspetti legati a Freud ed agli inizi della psicoanalisi siano soprattutto leggende. Si rende necessaria, di conseguenza, una sempre più attenta verifica delle idee proposte dalla communis opinio. Spero che l'articolo possa essere un aiuto per la formulazione di un giudizio più realistico sul personaggio e sulla disciplina da lui costruita.



L’immagine leggendaria di FreudCome un genio perseguitato che alla fine raggiunse
La fama che meritava a dispetto di poteri ostili
È completamente senza fondamento.


La leggenda di Freud

     Freud è conosciuto tanto dai suoi seguaci quanto dai suoi critici come colui che per primo ha sviluppato una interpretazione psicologica delle sindromi nevrotiche e ne ha ricavato un metodo di trattamento; come colui che ha allargato la sua concezione della nevrosi in una teoria generale della mente umana, e quindi ha fatto uso dei suoi principi per una spiegazione della storia della civilizzazione ed una critica dei fenomeni sociali e culturali. Così, il lavoro di Freud è culminato in una teoria omnicomprensiva della natura umana, a cui oggi spesso ci si riferisce come una “antropologia filosofica”.
     All’inizio le idee di Freud incontrarono dure critiche, furono rigettate ed a volte ridicolizzate. Gradualmente, tuttavia, ottennero riconoscimento e, in virtù della loro applicabilità ad ogni campo della vita umana, conseguirono un’influenza decisiva ben al di là dell’ambito della psichiatria o psicologia. Letteratura, antropologia culturale, educazione, sociologia utilizzarono ampiamente la dottrina di Freud.
     Benché il successo di Freud fosse grande, non fece mai cessare completamente le critiche. Neanche le sue idee rimasero immutate. Non solo Freud modificò ripetutamente le sue teorie, qualche volta sconcertando così i suoi discepoli più fedeli, ma anche molte delle sue nozioni furono reinterpretate, così che spesso solo i nomi erano tutto ciò che rimaneva delle originali. [1]
     Tutto ciò è storia. I molti volumi del lavoro di Freud, l’immenso numero di pubblicazioni elaborate sulle sue idee o anche di critica, sono come una prova oggettiva. Questa storia ha a che fare con il lavoro di Freud e non ha nulla da aggiungere sulle circostanze della sua vita e della sua carriera o sulla sua personalità ed i suoi tratti caratteristici.
     Ma c’è, ovviamente, un interesse naturale per la biografia e la persona di un grande uomo, anche se è uno scienziato, un creatore di un’arte, uno statista, un riformatore, o un leader in ogni altro campo.
     Freud stesso ha pubblicato una breve autobiografia che, tuttavia, non è sufficiente per una fotografia completa e soddisfacente. Ma esistono diverse biografie più o meno lunghe; l’ultima e presumibilmente “definitiva” è quella di Ernest Jones, [2] che in tanti anni non fu solo un fedele discepolo, benché a volte critico, ma un vero amico. Fu il Dott. Jones che rese possibile a Freud la partenza da Vienna, quando era governata dai Nazisti, e trovare asilo in Inghilterra.
     In queste biografie Freud appare come il genio perseguitato che alla fine ottiene il riconoscimento che si è meritato a dispetto di tutti gli sforzi per impedire la sua vittoria da parte dei poteri ostili. Invidia e gelosia, si sente dire, fecero il loro meglio per ostacolare la carriera di Freud. La facoltà della Scuola di Medicina e l’Università nel suo complesso, il Dipartimento dell’Educazione (Ministeriuna fur Unterricht) sono note per aver negato a Freud l’appoggio e la promozione al titolo che lui meritava. Più di tutto fu il sentimento anti-semita, che probabilmente stabiliva le politiche dell’Università e del Governo, a divenire un ostacolo insormontabile e a comportare il fatto che Freud divenne ancora più famoso e che trovò un sempre più grande apprezzamento, e che l’importanza delle sue scoperte ed idee fu riconosciuta all’estero più che nel suo paese. Infatti, Freud medesimo una volta sottolineò che la sua fama “iniziò al di là della frontiera Austriaca”.
     Questa è la leggenda. E’ una leggenda perché non ci sono fatti a supportarla.
     Questa immagine leggendaria è sempre apparsa come fortemente incerta a coloro che conoscevano l’Austria prima del 1918 – e per diversi anni dopo la fine della guerra – e che erano al corrente delle regole che governavano le procedure nelle questioni accademiche.
     Non c’erano, tuttavia, dati oggettivi disponibili che potessero servire per un ulteriore sviluppo di questa posizione di dubbio, e invece i biografi di Freud hanno presentato le loro ricostruzioni con la certezza di uomini che sentivano di essere in possesso di fatti accertati. La fotografia che dipingevano non è nient’altro che leggenda pura. L’interrogativo su come questa leggenda nacque sarà posto successivamente.
     Per prima cosa deve essere dimostrato che i dati oggettivi sono completamente in contrasto con la leggenda. Questo è reso possibile dalla pubblicazione di un lavoro in cui tutti i documenti relativi alla carriera accademica di Freud sono riprodotti parola per parola. Questi documenti erano, prima della comparsa di questo lavoro, abbastanza sconosciuti ed anche inaccessibili.
     Il Professor Joseph e la Sig.ra Renée Gicklhorn sono gli autori di un lavoro sulla carriera accademica di Freud, pubblicato nel 1960. [3] Il Professor Gicklhorn, che morì nel 1957, insegnava Storia della Scienza all’Università di Vienna. Lui e sua moglie iniziarono come botanici – lei è al momento un membro dello staff dell’Istituto per la Fisiologia delle Piante all’Università di Vienna – e furono portati a specializzarsi in storia della scienza dai loro studi sui lavori degli esploratori e dei botanici Austriaci.
     La Sig.ra Gicklhorn mise insieme tutti i documenti pertinenti, un compito che richiese l’esame di molte migliaia di resoconti, annotazioni delle sessioni o domande. Dopo il prematuro decesso di suo marito, dovette curare i documenti e aggiungere alcuni ulteriori commenti, anche se le sessanta pagine della “Introduzione ed Interpretazione” paiono chiaramente il lavoro del professore.
     Gli autori sottolineano che il loro obiettivo è esclusivamente di rendere fruibile la mancanza di evidenza oggettiva avuta sino ad oggi per una storia metodologicamente corretta delle relazioni di Freud con la Scuola di Medicina e, allo stesso tempo, “di confutare le accuse e le dichiarazioni veramente mostruose che tentano di screditare la fama di Vienna e delle sue istituzioni culturali e propagare falsi resoconti sulle procedure dell’Università?”. Loro enfatizzano che non sono in alcun modo interessati alla dottrina di Freud, e neanche alla sua personalità o alla sua vita familiare. La loro intenzione è solo di fornire i dati indispensabili ed affidabili per una futura biografia e di spiegare ai lettori l’importanza di alcuni documenti che non hanno familiarità né con le regole legali e procedurali che hanno determinato le azioni della facoltà e del governo né possiedono una conoscenza adeguata del clima culturale generale che esisteva a Vienna prima del 1918 e per molti anni dopo la fine della prima guerra mondiale e lo smembramento della monarchia.
     Messa a confronto con fatti obiettivamente accertati, la leggenda di Freud cade a pezzi. Non una di quelle dichiarazioni si dimostra sostenibile. Se un fatto brutale viene presentato correttamente, la sua importanza viene completamente fraintesa. Per esempio, dopo il suo ritorno dalla Francia, Freud si unì allo staff di un’istituzione privata dedita al trattamento dei bambini. Non era un ospedale; venivano esaminati e trattati solo pazienti esterni. Desiderò e richiese il permesso alla Facoltà di Medicina di essere autorizzato a tenere lì le classi di neurologia. Quando la sua richiesta fu respinta, la interpretò come un’espressione di malevolenza da parte della Scuola Medica. Non si curò, o non seppe mai, dell’esistenza di una legge che espressamente impediva che le lezioni fossero tenute in luoghi non direttamente controllati dalla Scuola di Medicina. Inoltre, si lamentò dell’ostilità della facoltà e del Dipartimento dell’Educazione poiché non aveva potuto ottenere la promozione a Professore Associato (Extraordinarius). Anche in questo caso non seppe o non considerò le regole adottate dal Governo e dalla Facoltà, secondo cui un professore associato si riteneva fosse in grado di sostituire o succedere ad un professore ordinario in una materia riconosciuta, essendo attribuita particolare enfasi all’esperienza di insegnamento.
     Ma Freud richiese e ricevette il diritto di insegnare neurologia, che non era una materia riconosciuta da quando era stata collegata alla psichiatria. Questo fatto di per sé squalifica Freud, il quale, d’altronde, aveva poco interesse nell’insegnamento. Inoltre, Freud interpretò il ritardo nella sua promozione ed il fatto che alla fine ricevette solo il titolo di professore associato, ma non lo status, come manifestazione di ostilità di una parte delle autorità.
     Questi dettagli, di cui molto altro potrebbe essere menzionato, sono importanti perché tutti i biografi hanno finora utilizzato come unica fonte le affermazioni dello stesso Freud che essi, per di più, fraintesero, nessuno di questi autori aveva mai direttamente conosciuto le procedure accademiche, nessuno si era preoccupato di verificare la verità delle informazioni ottenute, e il Dott. Jones, uno straniero, aveva solo una vaga idea e spesso erronea della situazione a Vienna.
     Deve essere sottolineato che tutte queste persone erano perfettamente in bona fide: non vedevano ragioni per dubitare delle parole di Freud. [4] E Freud stesso era non meno in bona fide: evidentemente era convinto che le cose fossero accadute proprio come gli erano apparse, spesso in retrospettiva. In ogni caso non c’era alcuna traccia di non sincerità. Ma la memoria di Freud non era molto affidabile quando erano coinvolte la sua vita personale e, specialmente, le sue aspettative non realizzate. D’altronde, egli proteggeva alcune idee preconcette profondamente radicate della cui verità fu così tanto convinto da considerare non necessario l’esame critico.
     La difettosità della memoria di Freud e la sostituzione di fatti dimenticati con creazioni della sua fallace immaginazione lo portarono qualche volta, nei suoi resoconti sugli eventi passati, ad essere completamente in discrepanza con l’evidenza documentata. Un esempio impressionante è la storia dell’accordo che permise a Freud di trascorrere diversi mesi a Parigi e di lavorare alla clinica di Charcot. Secondo Jones, questo accordo fu stabilito dalla Scuola di Medicina, il povero Jones non ha altre fonti di informazioni se non le storie raccontate da Freud. In realtà, l’accordo fu permesso dal governo su raccomandazione non della Facoltà ma del Senato Accademico. Inoltre, i soldi non erano destinati esclusivamente ai medici, ma erano fruibili alternativamente dagli scolari che appartenevano alle diverse scuole dell’Università. In terzo luogo, lo statuto diceva che la borsa di studio esisteva per permettere al beneficiario di studiare e lavorare presso un’università Austriaca o Tedesca; fu una eccezione in favore di Freud che gli fu permesso di andare a Parigi. Freud sapeva, certamente, che una metà dello stipendio doveva essergli dato prima del rilascio della borsa di studio e la seconda metà dopo il suo ritorno. Ma trascorsero diversi mesi prima che il secondo pagamento fosse effettuato. Nei suoi ultimi anni Freud vide in questo un’ulteriore prova di malevolenza e di ostilità da parte delle autorità. Aveva dimenticato che questo pagamento dipendeva dalla presentazione di un resoconto sulle sue attività durante la sua assenza. E fu lui che causò il ritardo poiché inviò questo resoconto solo diversi mesi dopo il suo ritorno (Documento 15; la prima pagina del resoconto di Freud è riprodotta in fig. 7).
     Questo è uno dei numerosi esempi in cui Freud riteneva responsabili alcune forze ostili, che credeva fossero all’opera contro di lui, per alcune esperienze più o meno sgradevoli, laddove questi eventi erano dovuti proprio alle sue azioni. Ma richiederebbe troppo spazio raccontare tutte le discrepanze tra i fatti oggettivi da una parte, e le affermazioni di Freud e dei suoi biografi dall’altra.
     Le affermazioni dei biografi di Freud soffrono di tre gravi difetti: (1) assoluta ed esclusiva fonte nelle affermazioni di Freud, (2) ignoranza delle regole e delle procedure universitarie – nessuno dei biografi ha alcuna conoscenza personale in quest’area – o anche, nel caso del Dott. Jones, della situazione in Austria durante il regno di Franz Joseph I ed i primi dieci anni ed oltre della Repubblica, (3) completa ignoranza di metodologia storiografica. In queste circostanze risulta comprensibile il fatto che autori di differenti biografie abbiano disegnato un ritratto distorto del loro eroe e della sua carriera.
     Questo è un esempio: quando il Dott. Jones si congratulò con Freud per aver ricevuto il titolo di professore ordinario (ordinarius), Freud sottolineò: “E’ solo un titolo”. Freud, ovviamente, sapeva molto bene che non poteva conseguire la posizione di professore ordinario, dal momento che tali posizioni erano ottenute solo dai responsabili di cliniche o d’istituti e né la Facoltà né il Governo potevano creare un nuovo professorato. Quindi, le sue parole avevano il significato di una spiegazione al fine di prevenire un’incomprensione da parte del Dott. Jones. Ma poiché quest’ultimo non sapeva nulla di tali questioni, fraintese le parole di Freud come se Freud avesse detto: “Ho ricevuto il titolo, sebbene dovessi esser stato fatto professore ordinario”. E in questo il Dott. Jones vide un’ulteriore indicazione di continua ostilità da parte delle autorità.
     In questo caso la colpa era interamente del biografo. Generalmente, tuttavia, era Freud stesso che vedeva ovunque manifestazioni di malevolenza. Conosceva, infatti, solo tre motivi per cui qualcuno poteva non riconoscere la verità delle sue idee e la grandezza delle loro scoperte. Primo, la naturale riluttanza (“resistenza”) di una persona ancora dominata dal suo “inconscio” e tirannizzata dal suo “super ego”, il cui ego era, come Freud una volta ammise, “non padrone in casa sua”. L’analisi avrebbe permesso ad una tale persona di realizzare l’influenza delle pulsioni, i continui effetti delle esperienze infantili, la natura “simbolica” dei suoi tratti caratteriali, ecc, e così di riconoscere le verità riguardanti la natura umana come rivelate dalla psicoanalisi. [5]
     Questa era una ragione veniale per l’ostilità che poteva essere risparmiata se il critico fosse stato d’accordo nel permettere di essere analizzato. Ma, secondo Freud, c’era una seconda ragione che faceva rifiutare alle persone la nuova dottrina poiché nel far così essi miravano proprio a Freud come persona. Questi nemici, credeva, erano animati dall’invidia, dalla malevolenza, dalla paura che le loro visioni tradizionali potessero essere screditate. Il libro dei Gicklhorns mostra chiaramente che Freud fraintese completamente la situazione. Da nessuna parte negli appunti della Facoltà, nei resoconti delle commissioni o nella corrispondenza col Governo si trova la minima traccia di ostilità. Al contrario, c’era quasi una forte inclinazione a favorire Freud, ed il suo fallimento nell’ottenere ciò che voleva non era il risultato di malevolenza, ma del suo essere allo scuro delle condizioni esistenti e della situazione legale.
     La terza e, nella visione di Freud, più potente ragione era l’antisemitismo. Il Dott. e la Sig.ra Gickihorn hanno svolto la loro accurata ricerca non solo con l’obiettivo di fornire un resoconto oggettivo sulla carriera di Freud, ma anche per correggere l’immagine distorta dell’Austria e della mentalità Austriaca di sessanta ed anche trentacinque anni fa che molte persone difendevano. Questa immagine, come sottolineano gli autori, è l’effetto di un modo di guardare indietro negli avvenimenti passati che si fece strada principalmente dal 1933 a causa dell’influenza del razzismo tedesco. Gli autori si mantengono nei limiti che hanno stabilito per il loro lavoro. Non dicono nulla della dottrina di Freud e della reazione che provocò o della sua personalità. Ma per comprendere la continua ed incessante denuncia di Freud di anti-semitismo come fonte principale di tutti gli ostacoli che incontrava, o che disse di aver incontrato, una piccola digressione in relazione alla sua personalità sembra indispensabile.
     In una conversazione che ho avuto con un eminente psicoanalista di Washington, D.C., recentemente deceduto, ho fatto riferimento al risultato sbalorditivo dell’autoanalisi di Freud. L’analista era d’accordo, ma ha aggiunto che Freud non fu mai in grado di scoprire le cause di certi suoi tratti, di cui egli, forse, non era neppure a conoscenza della loro esistenza, soprattutto della sua forte aggressività e della sua estrema intolleranza. Quest’ultimo termine può essere sostituito con rigido autoritarismo che forse descrive ancor meglio il comportamento di Freud.
     Presto nella sua carriera ebbe un violento conflitto con il capo del reparto al General Hospital a cui era affiliato. Come conseguenza il Dott. Scholz gli impedì di parlare dei pazienti nei suoi corsi sulle malattie nervose. Ruppe con il Dott. Breuer, verso cui era debitore per diversi aspetti. La storia di una paziente di Breuer – successivamente pubblicata come primo caso degli Studi sull’isteria di Joseph Breuer e Sigmund Freud, Vienna, 1895 – destò l’interesse di Freud per la psicologia dei disturbi nevrotici, anche prima di aver lasciato Parigi. Il capitolo sulla teoria delle nevrosi – o, come gli autori definiscono in quel testo, “isteria” – derivava da Breuer e fu espressamente progettato così. Breuer favorì il suo giovane collega meglio che potè ed anche lo aiutò con un cospicuo finanziamento quando le entrate di Freud erano ancora insufficienti. Potrebbe essere che questi favori fossero percepiti da Freud come intollerabili poiché il suo bisogno di essere indipendente e di governarsi sembra esser stato molto forte.
     Allo stesso modo ruppe con Fliess, dopo anni di amicizia e di lunga corrispondenza. [6]
     Le caratteristiche precedentemente riportate, tuttavia, divengono più evidenti nelle relazioni di Freud con i suoi seguaci. Lui aveva stabilito alcune asserzioni di base che chiunque volesse diventare o rimanere membro dell’Associazione Psicoanalitica doveva accettare. Ogni qual volta giungeva alla conclusione che una di queste asserzioni dovesse essere abbandonata o modificata, esigeva che la nuova dottrina fosse adottata senza dubbi. Era, ovviamente, disposto a discutere questi punti, a spiegarli, ma la decisione doveva essere ultimamente sua e sua soltanto. Se qualcuno rifiutava di seguirlo, era “scomunicato” nel senso letterale del termine. E Freud non solo rompeva ogni relazione con queste persone ma ne parlava in modo sprezzante e molto duramente. Freud era convinto che i “dissidenti” avessero imparato da lui tutto quello che avevano da dire. Di conseguenza, vedeva in loro non solo uomini che avevano abbandonato la strada della verità, ma anche che avevano dato prova di una scioccante ingratitudine.
     Il comportamento che Freud ha assunto nei confronti di Alfred Adler, C. G. Jung, O. Rank o W. Stekel è sufficientemente noto, tanto che gli esempi sono superflui. E’ doveroso, però, sottolineare che Freud anche qui agiva in optima fide.
     Non è nella finalità di questo articolo delineare una caratterizzazione della personalità fortemente complicata di Freud. Questo, probabilmente, non è fattibile; bisognerà aspettare finché ulteriori dati non saranno disponibili, ad esempio la corrispondenza presentata oggettivamente. Ma i pochi commenti riportati sembrano necessari poiché essi possono fornire la chiave di accesso alle affermazioni infondate di Freud e tenaciamente ripetute.
     Aggressività ed autoritarismo, di cui si è ignari, assieme alla coscienza di essere originali e superiori, conducono facilmente ad attribuire motivi di ostilità a chiunque, realisticamente o in modo supposto, diviene un ostacolo. Si può comprendere il fatto che Freud vedesse nelle difficoltà che incontrava manifestazioni di malevolenza o d’invidia. E’ molto meno facile comprendere perché fosse ossessionato – il termine non è troppo duro – dall’idea di essere una vittima di anti-semitismo.
     Né nella azioni della facoltà né in quelle del governo si può trovare alcuna indicazione di sentimento antisemita. In passato ci furono sempre alcuni professori ordinari (ordinarii), capi di cliniche o d’istituti, che erano Ebrei. Lo stesso è vero per la Scuola delle Arti e delle Scienze (Facoltà di Filosofia). L’imperatore Francis Joseph non aveva certamente alcuna predilezione per gli Ebrei; ma fu un uomo contrario a discriminare tra questi soggetti [7] – per esempio, nominò il famoso Grecista e storico della filosofia Greca, Theodor Gomperz, membro del Senato, rese cavaliere l’attore Ebreo Sonnenthal, consentì l’elezione di un Ebreo convertito come Arcivescovo di Olmutz; un altro convertito divenne prete e principale predicatore alla Cattedrale di St. Stephen.
     Francis Joseph disapprovò l’anti-semitismo, primo, poiché era un buon Cattolico, secondo, perché vedeva in questo atteggiamento una forza distruttiva. Ciò divenne evidente quando la maggioranza dei Cristiano Sociali del Consiglio Municipale Viennese elesse il Dott. Karl Lueger [8] come Sindaco. Il Sindaco di Vienna doveva essere confermato nella sua posizione dall’Imperatore che si rifiutò due volte di firmare il decreto e lo fece, con riluttanza, solo alla terza volta.
     L’anti-semitismo fu uno dei punti nel programma politico dei Cristiani Socialisti, che erano principalmente il partito delle classi sociali medie e più basse. Di conseguenza, fu soprattutto una questione di competenza economica, mentre gli elementi religiosi giocarono un ruolo minore ed il razzismo nessuno. Solo un piccolo ma vocifero partito di Nazionalisti Tedeschi professò un antagonismo raziale violento. Il suo leader era il Parlamentare von Schoenerer, da cui Hitler prese molti spunti.
     L’anti-semitismo dell’era Lueger fu molto meno aggressivo di qualsiasi periodo successivo; fu anche meno consistente. Il Dott. Lueger era solito partecipare a ricevimenti settimanali in alcuni locali, ed uno del gruppo era un Ebreo. Un giorno alcuni prominenti Socialisti Cristiani additarono a Lueger che non era giusto per loro ammettere un Ebreo nella sua compagnia. E allora il Dott. Lueger colpì il banco con il palmo della mano, esclamando: “Chi è e chi non è un Ebreo, questo lo devo decidere io!” Questo era, infatti, un sentimento diffuso, sebbene altre persone difficilmente lo avrebbero espresso allo stesso modo. Essi parlavano, così, degli “Ebrei” come un pericolo, come possessori di ogni sorta di qualità indesiderabile, li rendevano responsabili per molti incidenti, soprattutto economici; ma più o meno tutti avrebbero fatto un’eccezione per questo o quell’indivudo Ebreo che conoscevano.
     Questo tipo di anti-semitismo non aveva influenzato la carriera accademica di Freud, per le ragioni menzionate prima. L’idea di una cospirazione anti-semitica, se si può chiamare così, originata nella mente di Freud, fu propagandata da biografi e divulgatori incompetenti e ritenuta vera da un gran numero di coloro che non sapevano niente dello stato della vecchia Austria. Questa ignoranza rese possibile il fatto che la descrizione, che presentava l’Austria negli ultimi anni prima dell’invasione Tedesca, fosse proiettata indietro nel passato, come se fosse sempre esistita.
     Freud era cieco a tutti i fatti che non erano in accordo con le idee preconcette e, quindi, non divenne cosciente di alcune ovvie contraddizioni presenti nelle sue affermazioni. Da una parte, per esempio, rese l’anti-semitismo responsabile per il rifiuto delle sue idee, dall’altra reputò colpevole i circoli medici di Vienna perché vi incontrò incomprensione e critica. Ma omise il fatto che un grande numero di fisici a Vienna erano Ebrei e si opposero non meno alla sua dottrina di tanti loro colleghi non credenti. Accusò la Facoltà e il Governo perché non poteva ottenere cosa desiderava, ma non realizzò che le sue richieste non potevano essere soddisfatte a causa di ragioni legali.
     Sfortunatamente le persone credevano in lui a causa della comune abitudine di dar credito di autorità su ogni sorta di questione a chi è un’autorità in un campo specifico. Questa tendenza fu, ovviamente, particolarmente forte tra i suoi ammiratori. In questo modo la leggenda di Freud si sviluppò e fu presa per verità storica, sebbene apparisse improbabile ad alcuni anche prima la pubblicazione dei documenti. Ma dal momento che ora possediamo i mezzi per ricostruire i fatti storici, grazie al lavoro del Dott. e della Sign.ra Gickhorn, la leggenda ha perso tutta la sua credibilità. [9]
     La storia del movimento psicoanalitico deve essere riscritta. La fotografia della personalità di Freud così come è stata dipinta dai suoi biografi deve essere soggetta a nuove e minuziose indagini. Alcuni dettagli nelle biografie esistenti, specialmente in quelle del Dott. Jones, hanno già preso nuovo significato; forse si può prevedere la direzione che questi nuovi studi potranno prendere. [10] Ma tali argomenti fuoriescono dall’obiettivo di questo resoconto.

Note
    [1] Vedere, ad esempio, L. Salzman e I. H. Masserman, ed., Modern Concepts of Psychoanalysis (New York: Philosophical Library, 1962).
    [2] Ernest Jones, The Life and Work of Sigmund Freud, 3 vols. (New York: Basic Books, 1953-1956).
    [3] Joseph & Renée Gicklhorn: Sigmund Freuds akademische Laufbahn im Lichte der Dokumente (Wien-Innsbruck: Verlag Urban & Schwarzenberg, 1960).
     [4] Uno dei più vecchi seguaci di Freud, dopo aver formulato una certa frase, dichiarò: “Alla domanda, perché io sostengo che questa tesi sia vera, devo rispondere, perché Freud disse così”. E’ comprensibile che una tale fiducia incondizionata nelle verba magisteri, fosse diffusa, per così dire, dalle affermazioni sulla dottrina a qualsiasi parola. Questa potrebbe esser stata una ragione affinché i biografi considerassero i commenti di Freud sulla sua vita personale come una fonte sufficiente e tutte le ulteriori indagini come superflue. Ma c’erano anche altre ragioni.
     [5] Poiché Freud era convinto che senza l’auto-conoscenza che solo la psicoanalisi poteva fornire nessuno poteva liberarsi dalla tirannia sopra menzionata e quindi riconoscere le cause dei problemi nevrotici, rese un requisito per chiunque fosse desideroso di essere uno psicoanalista il fatto di essere prima di tutto analizzato lui stesso. Per una ragione o per un’altra fece, alla fine, una eccezione. Il professor Paul Schilder, forse il più dotato dei seguaci di Freud, mi disse che lui non era stato analizzato e che non avrebbe mai avuto l’intenzione di esserlo. Era un assistente di Wagner von Jauregg, e dopo il responsabile del reparto psichiatrico al Bellevue Hospital, New York, e fu ucciso in un incidente stradale nel 1939.
     [6] Apparentemente la sola persona che era in grado di rimanere in buoni rapporti con Freud al di là di alcune profonde differenze era Ludwig Binswanger. Perché fosse così non può essere accertato. Forse la ragione fu che i due uomini avevano qualcosa in più in comune che il solo interesse nella psicoanalisi. Come Freud, Binswanger fu un uomo di cultura universale, mentre gli altri discepoli difficilmente avevano trasceso i confini della psicoanalisi anche quando scrivevano di arte, letteratura o altri aspetti di cultura generale.
     [7] La Legge Penale Austriaca forniva la stessa protezione contro la diffamazione dei Protestanti (Luterani e Calvinisti) e la fede Ebraica così come quella della Chiesa Cattolica.
     [8] Pronunciato Loo-éhger.
     [9] Gli autori hanno reso le loro scoperte disponibili all’American Freud Archives. Essi riportano che in anni recenti i riferimenti alla “cospirazione anti-semita” sono diventati molto meno frequenti.
     [10] Si può trovare qualche commento sul posto del lavoro di Freud nella storia delle idee nella prima delle mie quattro lezioni su Esistenzialismo e Psichiatria (Springfield, Ill., 1961).

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